Tavola XI
Franco Remondina
Senza avere il controllo della funzione ricordante, il memo, Gilgamesh non ce la può fare!
La coscienza ricordata è solo metà della coscienza.
La domanda delle domande è questa: perché?
La risposta è: una necessità!
L’albero del bene e del male è il presupposto metafisico, il suo frutto è esattamente questo:
Il flusso d’attenzione non può vedere simultaneamente bene e male!
A quel punto, la coscienza fa di necessità virtù
ESPRIMENDO SOLO METÀ DELLA COSCIENZA.
L’Io-mentale è, quindi, “l’effetto di una funzione della coscienza”.
Non è causa, bensì un effetto.
Del resto, senza tale funzione, l’esperienza della vita risulta impossibile…
Come fai a provare una esperienza se sai che una finzione?
Non si può, quindi ecco spiegata la necessità dell’ albero “del bene e del male”.
L’esperienza non può essere compiuta da “ciò che anima”, DEVE essere “ciò che è interpretato” a compierla perché appaia reale!
Solo grazie alla enorme incomprensione dei cosiddetti padri della chiesa, questa necessità della coscienza è stata resa “peccato”.
L’esperienza della forma e della sostanza è una operazione di autoconoscenza razionale, da parte dell’Onniessenza… che ve lo dico a fa’?
Ricordate che l’epopea di Gilgamesh è un libro religioso e in questo ambito va letto e meditato.
Torniamo quindi a Gilgamesh…
Ma appena egli si sedette al suolo con la testa tra le sue ginocchia, il sonno scese su di lui come un velo di nebbia. (v. 197) Oh cazzo… non ha capito niente, faccia di serpente…
Gilgamesh affronta la prova dei “pani” come Io-mentale, ignaro di “ciò che anima” e di “ciò che è interpretato”…
“Minchia Johnny”… esclama Utnapishtim!
“Guarda il grande uomo che cerca la vita, il sonno è sceso su di lui come un velo di nebbia”. (v. 201)
Che cosa vede Utnapishtim? Cosa sono i pani che cuoce?
Sono le ragnatele di correlazioni tra pensieri di Gilgamesh.
Se hai sette chakras, le correlazioni sono sei! Ovvio…
Ve lo spiego in modo che capite meglio.
Andate ad un incontro con delle persone ci sono sei persone più una, voi: quante strette di mano fate? Sei!
Quindi, ci sono sette persone, ma ognuna può stringere solamente sei mani.
Il sette notti e sei giorni significa questo.
Perché i pani sono cotti in maniera differente?
Per via della graduatoria impiegata.
Ve lo traduco in pratica: avete una rubrica telefonica con memorizzati sei numeri:
- calciatore
- elettricista
- fornaio
- idraulico
- principe/essa 6) fruttivendolo
Vi si rompe un tubo dell’acqua, chi chiamate?
Ecco, il pane appena sfornato è l’idraulico, il pane nero è il calciatore…
Si capisce adesso?
Utnapishtim fa notare a Gilgamesh l’operazione che ha compiuto come Io-mentale, che Gilgamesh difende a spada tratta:
Gilgamesh così parlò a lui, a Utnapishtim il lontano: “Non appena il sonno è sceso su di me, mi hai subito toccato e mi hai svegliato”, Utnapishtim così parlò a lui, a Gilgamesh: “Guarda, Gilgamesh! Conta i pani! Cosi apprenderai quanti giorni hai dormito. (v. 218‐223)
Non rinunciando a essere il “re di Uruk”, non comprendendo le spiegazioni di Utnapishtim, applica il “come non fare”, dopodiché Gilgamesh piange… si rammarica della sua stoltezza e del destino che lo aspetta, di fatto, accettandolo! Ha ragione Utnapishtim ad ammonire il suo “memo”:
“L’umanità è ingannevole; egli raggirerà pure te”(v. 208),quindi non ricordarmi in questo modo.
Vi ricordo che quando si parla di umanità, il termine riguarda esplicitamente le memorie cromosomiche e la linea di sangue. La tavola XI prosegue…
Urshanabi, il molo ti rifiuti, il traghetto ti disprezzi! Tu che sei andato alla sua sponda rinuncia ad accostarti ad essa, l’uomo che tu hai portato fin qui, il suo corpo è pieno di sporcizia: la bellezza del suo corpo hanno rovinato le pelli che indossa: prendilo Urshanabi! Portalo al lavatoio possa egli lavare con acqua la sua sporcizia, fino a diventare bianco come la neve: possa egli buttare via le pelli, sicché il mare le porti con sé: fa che il suo corpo sia strofinato fino a tornare bello: poni sul suo capo un nuovo turbante: fagli indossare un vestito che lo nobiliti: fino a che egli non giunga alla sua città, fino a che egli non compia il suo viaggio, che il suo vestito non si scolori, che sia nuovo, che sia nuovo. (v. 234‐244)
Chi è Urshanabi il barcaiolo? E’ il desiderio!
Innescando il potere del Sapiens di manifestare ciò che contempla nella propria atmosfera mentale, il desiderio eleva Gilgamesh sopra le acque della morte e lo porta nella terra tra i due fiumi…
Il desiderio non è comprensione, è “volontà idealizzata”, ma senza la comprensione, essa è inadatta allo scopo prefissato: ROMPERE UNA CREDENZA…
Utnapishtim rammenta al “desiderio” questa verità!
Dice: “puliscilo, fai in modo che desideri esprimere l’ideale di sé stesso, che desideri togliersi tutte le pelli (le copiature del “memo” della linea di sangue), fino a che egli non compia il suo viaggio (che è quello preordinatogli dalle credenze della linea di sangue), poni sul capo un “nuovo turbante” (un nuovo vortice)…
Insomma… mmmh che gli doveva dire Utnapishtim al desiderio di Gilgamesh?
Sapete cosa si dice in quei casi lì… Vai a…
Insomma, Gilgamesh torna sulla barca e sta partendo, ma…
Nel frattempo, della serie una seconda occasione non viene negata a nessuno, la moglie (ovvero il “memo”) di Utnapishtim, decide di ricordare Gilgamesh “VINCENTE”…
Sua moglie così parlò a lui, il lontano Utnapishtim: “Gilgamesh è venuto a te stanco e abbattuto: che cosa puoi dargli che possa portare con sé nel suo paese?”. (v. 258‐260)
A quel punto Utnapishtim chiama Gilgamesh e gli dice:
“Gilgamesh, tu sei venuto stanco e abbattuto, cosa posso darti da portare con te al tuo paese? Ti voglio rivelare, o Gilgamesh, una cosa nascosta…” (v. 263)
Minchia Johnny… Un’altra?
Franco Remondina

