Franco RemondinaTelefonata 27 febbraio 2019
…Ho un problema, ‘sta roba qui ho provato a scriverla, ma faccio fatica, nel senso tendo a voler dire tutto assieme e così diventa incomprensibile, un macello. Allora, mi sono detto “Prova a raccontarlo al telefono”cosi ho chiamato…Cominciamo!
Il meccanismo evidenziato da quella legge del “pensieromondo”, cioè, che un pensiero = un campo emotivo, è esattamente l’essenza della trappola chiamata nella Bibbia l’albero del bene e del male. In effetti, avevo già spiegato, in articoli precedenti, di come tutta la faccenda evolva in un ricordato della creazione.
Genesi 2 è sostanzialmente il pensato dell’intelligenza originale che ha emanato la creazione e poi ne usufruisce nel proprio documento di ricordo. In Genesi 2 c’è quella cosa famosissima, quel monito leggendario… in Genesi 2, il Signore Dio avvisa l’uomo che, di tutti gli alberi che ci sono, lui potrà mangiare; tranne uno che è l’albero della conoscenza del bene e del male. Qualora ne mangiassi, certamente ne morresti. Perché glielo dice?
In realtà l’uomo, pensato dell’intelligenza originale, non caga neanche di striscio l’albero del bene e del male; tant’è che il Signore Dio, valutando l’ approccio di completa indifferenza che l’uomo “originale” ha rispetto alla conoscenza del bene e del male, si rende conto che il gioco non parte. Allora crea tutti gli animali, ma nessuno era capace di fare in modo che l’uomo “originale” provasse interesse, provasse fame per il frutto di quell’albero e permettesse il partire del gioco.
Pertanto, l’uomo originale viene diviso a metà, perché non è la costola: dall’uomo viene estratto qualcosa che si chiama donna o Eva, quello che sia, e da lì il gioco comincia. Quindi, ciò che in realtà il Signore Dio fa, è permettere che l’uomo, o chi per lui, vada e mangi di quell’albero. Difatti lì succede qualcosa… ma quello che succede è che poi il Signore Dio è soddisfatto, no, tant’è che li aiuta, gli fa le tuniche di pelle e poi gli dice guarda che sarai costretto a lavorare, partorirai con dolore e tutte le minchiate diciamo correlate.
È più che una maledizione ma una constatazione: il gioco è partito.
(A) Una volta che sei nel gioco, sei soggetto alle leggi del gioco…
Sì, esattamente. Quindi, tecnicamente, l’informazione è che se l’uomo non si pensa, allora compare il modello divino dell’uomo, al quale non gliene frega un cazzo dell’albero del bene e del male. Ovviamente, questo significa che, per come viene strutturato il documento, é il Senza Nome che ha tutte le possibilità, tranne una, quella dell’identità.
(A) Lo stesso è il giardino dell’Eden, può mangiare di tutti gli alberi tranne uno,
Quello che ti fa diventare l’identità.Esatto.
(A) Ma perché Dio gli dice non lo mangiare, se per far partire il gioco è necessario mangiarlo?
“Qualora tu mangiassi certamente ne moriresti”, all’interno del discorso che il gioco è quello. Avevi tutti gli alberi e hai mangiato quello.
(A) Non è una proibizione
No non è una proibizione, è esattamente lo stesso tipo di discorso della presa d’atto dell’identità. Tu puoi essere il Senza nome e hai tutte le identità, ma qualora ne diventi una, perdi il senza nome, no. E quindi ne moriresti in quel senso lì, non è moriresti fisicamente, moriresti come possibilità, perché se hai tutte le possibilità meno una non te ne frega un cazzo, se hai solo una possibilità allora sì che te ne frega, perché non hai più tutte le altre
(A) Devi tenere in vita quella per forza, se no non sei più niente
Esatto, questo è il meccanismo. Di base, allora, qual è il problema? Di base è che se tu fai zero pensieri, stai emulando il giochino dell’eden in cui il gioco non parte più.
Se hai zero pensieri e, da questa parte, hai zero emozioni, il gioco si ricompatta e tu torni in presenza; sei all’atto primo, quando il serpente, la più astuta delle creature, ti dice “ma è vero che Dio ha detto…” Ma ha rotto il cazzo e poi i serpenti non parlano! Allora il vero problema è: verso chi deve venire rivolto lo zero emozioni? Verso l’identità è chiaro.
(A) È l’identità che può provare o non provare emozioni
Esatto. Quindi lo zero pensieri, se hai tutti i pensieri meno uno, hai comunque zero pensieri. Difatti, la didascalia è la Senza nome di te ha tutti i pensieri del mondo tranne uno, quello di essere Franco Remondina o Antonella, no. Ti rendi conto? Quindi il giochino è reincorporare persino quel coso lì per avere l’intero paradiso terrestre.
(A) Di nuovo tutte le possibilità
A questo punto qui rimane il concetto base. Il concetto base è: Perché Dio crea l’uomo? Dio lo crea perfetto, no. Se diventerà l’identità sarà l’infinito meno uno per Dio, che non fa alcuna differenza, ma fa differenza per te, perché tu, da infinito che eri sei diventato uno. Quindi, per poter scegliere, tu devi partire dal presupposto che esista un pensato che Dio ha di te e che è perfetto.
(A) Ok
Allora sulla base di questo, tu puoi fare tutti gli errori del mondo perché quello era perfetto. Se fosse stato imperfetto allora potevi fare solamente le imperfezioni che c’erano, ma quello era perfetto
(A) E quindi prevedeva tutti gli errori possibili
Esatto
(A) Quindi il massimo della libertà di errore…
Tuttavia quel modello permane, permane come monito e come esempio. Allora, solamente per effetto del campo emotivo, tu puoi rimanere lontano da quel modello, ma se tu sospendi il campo emotivo ovviamente, dirigendo lo zero campo emotivo, quindi zero emozioni rispetto alla tua identità, più viene fuori quel modello, capisci? Perché la forza del pensiero è che se adesso rimane associato un campo emotivo, allora permane nella atmosfera mentale. Se non permane che cazzo salterà fuori? Salterà fuori il modello originale, il pensato di Dio di te.
E a quel punto il gioco può partire ugualmente, no? Perché ora questa è una modalità che abbiamo trovato per farlo partire, quella di fare una identità, ma avremmo potuto trovarne un altro
Avremmo potuto non emozionare l’identità in questa maniera qua, ma emozionarla in modo diverso, fornendo il supporto e il campo emotivo a come Dio ci aveva pensato. Questo avrebbe sollecitato il famoso compiacimento di Dio.
(A) Quindi, il gioco parte, ma con una identità di tipo diverso, non il pastrocchio che abbiamo fatto noi
Esatto, perché noi ci siamo separati
(A) Abbiamo scelto di giocare con un personaggio che si è separato
Una mezza sega. Allora, se tu sei capace di dare zero emozioni all’identità, l’identità alla fine viene disintegrata, viene disattenzionata, no. Allora, dove andrai a finire se impari lo zero emozioni riguardo all’identità? Andrai necessariamente a ricomporre il gioco nell’aspetto originale… perché se l’identità non pensa-emoziona, viene fuori il pensato di Dio di te, che sarà perfetto.
(A) Fantastico! E con quel pensato lì puoi fare tutte le esperienze perfette, è veramente quello che Dio voleva fare.
È esattamente così, sempre supponendo che sia questo l’intento di Dio, ma poiché non ho l’identità ma l’intelligenza di questo sto parlando.
(A) Eh già, è questo il punto, che non è l’identità, ma l’intelligenza. Noi ci fermiamo all’identità, invece se la pensi in termini di intelligenza, l’intelligenza è per forza una espressione dell’intelligenza di Dio, in maniera frattale.
Assolutamente. Perché il discorso è: tu prendi un semino, un semino qualsiasi, per esempio tu prendi un semino di mela e lo semini; non ti viene su un anacardo, ti viene su una mela. Perché il semino non ha identità se non quella roba lì, no ha intelligenza in sé, quindi il campo di informazione che si aggrega al semino è quello di sviluppare esclusivamente un albero di melo. Lui non ce l’ha la volontà di fare un albero di pera. Quindi, il nostro problema è esclusivamente legato a questa scelta iniziale che, peraltro, non sarebbe mai partita, ma quella metà di noi che si chiama Eva, vista esterna e vista interna, no, a un certo momento ci mette le mani e fa un pasticcio.
(A) E sceglie pensando che il suo punto di vista sia l’unico possibile
Sceglie l’identità
(A) E perde il collegamento con il tutto. Vede solo quello che può vedere quel piccolo pezzetto di identità
Questa roba qui dirla tutta assieme è un macello.
(A) Però adesso l’hai detta in maniera sequenziale.
Quello sì, è se mi siedo alla tastiera che non ci riesco…
(A) Ma se io ti trascrivo questa roba qua…
Sì è meglio, difatti io intendevo non renderla complicata, ma renderla semplice. Solo che alla fine conoscendo le cose che conosco mi viene da sottolineare e dire continuamente degli altri punti e questo mi disturba assai.
(A) Perché tu hai tutto contemporaneamente dappertutto e metterlo in sequenza e non approfondire ogni volta tutte le mille correlazioni che ti vengono è un macello.
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